Il 1900: ideologia e politica
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Ruolo della cultura ideologica e
politica nella società di massa
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Per molti, soprattutto nati in questo
secolo, la società di massa consiste nei “social” come Facebook,
Instagram, Twitter, Linkedin e simili.
Per i loro genitori invece il
riferimento erano i “mass media”, giornali, riviste, radio, TV e poi
Internet.
In realtà queste sono solo manifestazioni
esteriori e proiezioni di qualcosa di più profondo che ha inizio alla fine
dell’Ottocento e si è consolidato nei decenni successivi, aprendo spazi e
possibilità che si sono materializzati in strumenti che cercano di incarnarne
il senso.
Per chi fosse interessato al senso di
tutto ciò, senza perdersi nei particolari costruiti, consiglio due libri, che
ritengo fondamentali: La ribellione delle masse di Ortega y Gasset del
1930, ma tradotto (chissà perché) in italiano solo nel 1962; Massa e potere
di Elias Canetti, del 1960, ma tradotto (chissà perché) in italiano ben 12 anni
dopo.
Non farò qui il riassunto di questi due
libri che, seppur acquisiti da me in tarda età, hanno contribuito non poco alla
mia formazione.
La società di massa non è sempre esistita, perché la stragrande quantità della popolazione
ha sempre vissuto in modo frammentato, dispersa nelle campagne, maturando
dunque un atteggiamento e un costume fortemente polverizzati, che però per la
scarsità dei mezzi a disposizione si presentava estremamente omogeneo.
Si parlava di masse solo quando la peste
falciava milioni di persone come avvenne in Europa nel 1348 oppure quando
davano vita alle jacqueries con cui sfogavano la rabbia e la fame: insomma
soltanto situazioni episodiche, gravi certo ma episodiche.
Le masse si affacciano sulla scena della
storia con la nascita dell’industria e con la trasformazione moderna delle
città, fattori che hanno dato il via a tutta una serie di elementi che hanno
permesso la costruzione solida e matura della società di massa, cioè di
quell’insieme di relazioni che esaltano non la parte ma il tutto.
La divisione che Marx fece in classi
era troppo astratta e generica, ma coglieva il senso di quella trasformazione,
anche se, per poterla praticare, doveva ricondurre il tutto a livello politico.
Il termine “popolo” fu sempre odiato dai marxisti perché saltava la
divisione in classi e proponeva una visione interclassista, che non rispondeva
correttamente ai canoni del maestro: di fatto l’intellettuale era borghese e
doveva tradire le sue origini (Lenin), il proletariato esisteva concretamente
solo attraverso il suo partito che doveva praticare delle alleanze o forzare la
mano (Mao Tse-tung).
Massa è invece qualcosa di nuovo
e, a posteriori, conferma quanto Ortega y Gasset aveva svelato: lo dimostrano
non solo i regimi autoritari come il fascismo, il nazismo e il peronismo, ma
proprio la società democratica che dagli Stati Uniti si è diffusa in tutto il
mondo. La società di massa incontra l’economia di mercato e così nasce la
produzione di massa: quello che con disprezzo viene oggi chiamato “consumismo”
non è altro che la possibilità per le masse di accedere a beni in precedenza
riservati alle élite. Scuola, salute, cultura, ma anche cellulari, automobili,
vestiti, cibo, bevande e persino vacanze: naturalmente chi ha più soldi ne gode
più e meglio, ma chi ne ha meno non ne è privato, come accadeva fino a 150 anni
fa.
La massa. Le masse.
Senza questa novità non riusciremo mai a
comprendere in pieno le caratteristiche politiche e soprattutto ideologiche che
caratterizzano il 1900.
Nei miei articoli ho spesso parlato
dell’ideologia come di qualcosa che ha minato e mina le relazioni sociali,
dando per scontato cosa essa significhi e quali prospettive le siano inerenti.
Molti miei lettori continuano a confondere il termine “ideologia” con
due termini che però vogliono dire altro: “idea” e “ideale”. Approfitto di
questo capitolo per cercare di chiarire meglio sia il senso di questa parola
sia cosa essa abbia comportato e continui a comportare, nonostante il suo peso
sia sempre minore.
E’ caratteristica dell’essere umano
mentire e rimuovere episodi spiacevoli dalla propria memoria: se non ci sono
sensi di colpa tutto ciò permette alle persone di andare avanti fieri di se
stesse. E’ sempre successo e continuerà a succedere nonostante l’esigenza di
verità venga sempre più espressa.
Ciò che succede a livello individuale
avviene anche al livello più ampio del piano sociale: quando i rapporti
personali e politici erano semplici la risposta era semplice e la menzogna in
campo politico, diretta o selezionata, è sempre stata riconosciuta come
necessaria. Per quanto osteggiato da più parti, Machiavelli trova conferme della
sua analisi nella realtà: se puoi dire la verità dilla, ma se dirla comporta la
sconfitta allora è meglio mentire.
In una società semplice le persone non
avevano strumenti per procedere ad una verifica e credevano a ciò che veniva
loro fatto credere da chi li comandava: si identificavano in essi.
Nella società di massa, la cui
complessità non è in discussione come dimostrano l’esperienza della Russia
arretrata e della Germania avanzata, le cose si pongono in modo radicalmente
diverso.
La società di massa che si muove dentro
istituzioni liberaldemocratiche tende a mentire e a rimuovere in modo ridotto,
perché esistono pesi e contrappesi, poteri e contropoteri, una libera
informazione e un gioco culturale e politico ampio.
Diametralmente all’opposto, è invece la
società di massa che opera dentro istituzioni non democratiche: qui la massa è
strumento e soggetto allo stesso tempo della nascita e della crescita di regimi
dittatoriali. Non solo, ma dà vita a una forma nuova di dittatura: nasce il totalitarismo.
Da un semplice punto di vista lessicale
il termine “totalitarismo” indica un potere che copre la totalità della
società, ma da un punto di vista storico quel termine ha un significato più
preciso e determinato che ci permette di fare dei confronti e stabilire delle
differenze. L’analisi del totalitarismo più compiuta appartiene ad Hanna Arendt
ed è del 1951 (tradotto -chissà perché- in italiano solo nel 1967): essa ci
parla di comunismo e nazismo, mentre correttamente tiene fuori il fascismo
italiano perché non si presentò totalitario sin dalle origini. In più va detto,
con la stragrande maggioranza degli storici, che quello fascista fu un “totalitarismo
imperfetto” visto il ruolo della Chiesa e della Monarchia (che non a caso
fece arrestare de iure Mussolini nel 1943).
Il totalitarismo che condiziona
pesantemente il XX secolo è caratterizzato da due aspetti, strettamente
collegati tra loro: l’ideologia e il terrore.
La parola ideologia ha sempre più
assunto il significato di visione del mondo che cristallizza la realtà, così da
rispondere sempre secondo canoni univoci e prestabiliti, non necessariamente
falsi o falsificati, ma organizzati in modo tale che, dati i presupposti
mostrati, ne derivino le conseguenze previste.
Basta mettere in discussione le premesse
per avere una visione più ampia, perché la verità non è come una formula
matematica, ma è un insieme di relazioni complesse: in antitesi all’ideologia
c’è solo la cultura, che, come dice la parola stessa, “coltiva” e dunque
permette di produrre nuovi frutti i cui semi daranno vita ad ulteriori frutti e
così via in un processo che non ha limiti. Come la storia dell’uomo dimostra.
Gli esempi possono essere numerosi.
Si va dalla pretesa verità del PCI come
il Partito dei lavoratori agli USA nemici della pace a Nietzsche precursore del
nazismo a Baudelaire la cui poesia è fuga dalla realtà al consumismo causa di
tutti i mali a Pascoli poeta delle piccole cose: la realtà è già inscatolata e per
ogni parola pensiero evento è pronta la risposta.
Per fortuna, come la realtà svela sempre
di più la sua complessità, così anche le persone sono sempre più complesse e
riescono a distinguere. Non tutte, purtroppo.
Ma torniamo al 1900 e al peso che
proprio l’ideologia ha avuto nell’affermazione dei due totalitarismi. E se il
nazismo è stato al potere per 12 anni senza significative influenze successive,
il Comunismo in URSS ha vissuto per 73 anni condizionando il mondo intero sia
conquistando il potere in Europa dell’Est, in Asia, a Cuba sia destabilizzando
l’intero continente africano e il Sud America sia ottenendo il consenso di
milioni di persone un po' dappertutto, ma soprattutto in Europa.
Come è stato possibile che tutto ciò
avvenisse impegnando la vita delle persone per un intero secolo nonostante già
negli anni ’30-’40 gli orrori staliniani fossero conosciuti? E come è stato
possibile che il dramma della rivoluzione culturale cinese invece di essere
denunciato trovasse sostenitori del calibro di J. P. Sartre?
Come è stato possibile che un popolo
come quello tedesco che aveva dato vita a grandi poeti, grandi musicisti,
grandi filosofi, grandi scrittori cadesse nelle grinfie spirituali di un
pensiero aberrante come quello nazista?
Occorre innanzitutto abbandonare
categorie come quella della “follia” troppo spesso usata per spiegare le
decisioni di Hitler o quelle morbide degli “errori” e delle “deviazioni dalla
giusta idea” per quanto riguarda Stalin.
L’analisi di Hanna Arendt fornisce
strumenti importanti per comprendere quei due fenomeni. L’ideologia e il
terrore sono i due elementi che forniscono i giusti chiarimenti.
L’ideologia non è ignoranza o falsità,
essa si presenta come un insieme di valori e conoscenze che hanno dei
riferimenti culturali anche importanti e per questo motivo non è facile il suo
disvelamento e smascheramento, soprattutto se si avvale della propaganda,
altro aspetto tipico dei regimi totalitari.
Parlerò prima del comunismo e poi del
nazismo non solo per la sua importanza, ma soprattutto perché fu il primo a
manifestarsi compiutamente, tanto che alcuni storici ritengono che l’esperienza
nazista fu debitrice di quella sovietica (terrore e gulag in primo luogo).
Le basi culturali comuniste fanno
riferimento al pensiero di Marx che sviluppa la sua teoria fortemente
influenzato dagli sviluppi e dai successi della scienza moderna, tanto da
chiamare le proprie teorie “materialismo storico e scientifico”. La
scienza come si afferma nel 1800 è deterministica e capace di elaborare leggi
universali: date certe premesse le conseguenze sono quelle e solo quelle; come
avviene quando, aumentando la velocità, diminuisce il tempo impiegato a coprire
un determinato spazio.
L’analisi di Marx, che è soprattutto un
filosofo e uno storico, si pone in questi termini. La lotta di classe è il
motore della storia e ne ha determinato le continue trasformazioni fino allo
stato attuale in cui in lotta sono borghesia e proletariato: seguendo le
dinamiche del passato sarà inevitabile la vittoria del proletariato e
l’affermazione di una società prima socialista (dittatura del proletariato) e
poi comunista (senza più classi sociali).
Le basi dunque dello sviluppo del
pensiero comunista in termini ideologici non sono frutto di fantasie, ma
appartengono a un filone importante della cultura ottocentesca e trova
riferimenti anche nella letteratura e nella politica, dando poi vita alla
famiglia socialista. Marx rappresenta la punta dell’iceberg.
La cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre e
l’istaurazione del comunismo in Russia non appartengono più alla lotta politica
da sempre sviluppata. Fino ad allora sono sempre stati protagonisti gruppi,
economici sociali politici, che scendevano in campo per difendere e affermare i
propri interessi: così è stato tra guelfi e ghibellini, tra armagnacchi e
borgognoni, tra le due rose inglesi, tra cattolici e protestanti, tra
piemontesi e austriaci, tra gli operai e i loro padroni. Possiamo anche
allargare il discorso e mettere in campo gli Stati: la Germania e la Francia
per difendere o allargare i propri confini, l’Italia e la Libia per migliorare
le condizioni di vita dei nostri connazionali.
Interessi particolari, anche ampi,
contro altri interessi particolari.
Il comunismo è andato oltre per poter
legittimare il proprio potere e il terrore necessario a garantirlo: la posta in
palio è molto più grande e coincide con il futuro dell’Umanità (come recita tra
l’altro la canzone L’Internazionale: Su lottiam! L'Ideale nostro alfine sarà,
l'Internazionale, futura umanità!). L’ideologia blocca la
storia e la cultura: non c’è passato che non determini un preciso futuro: la
storia ha visto la lotta delle classi, ma il capitalismo ha creato chi lo
affosserà e con lui tutte le divisioni tra classi. E’ scienza. Chi si oppone
non lo fa tanto contro i comunisti, ma contro l’Umanità intera, il cui futuro è
certo e segnato dalla scienza marxista: i comunisti non si fanno portavoce di
un interesse di parte, ma di qualcosa di generale e universale. Questo
giustifica una lotta dura, anzi una guerra senza quartiere a cui non viene
sottratto nessuno: è il Terrore. Robespierre li aveva preceduti, ma lui
combatteva solo coloro che si opponevano alla Rivoluzione Francese, mentre i
comunisti distruggono tutti coloro che anche solo osano mettere in discussione
singole scelte. Il Kulako che si oppone al trasferimento dai suoi campi non
agisce contro le leggi del partito e dello Stato, ma contro l’Umanità stessa;
il membro del Partito che vorrebbe discutere degli ordini di Stalin è un nemico
del popolo.
Ecco dunque il senso dell’ideologia:
farsi interprete di un volere superiore che opererebbe a favore della
stragrande maggioranza della gente; di quel volere, essendo frutto della
scienza, non ci sono interpretazioni possibili, per cui la strada è unica e di
essa è garante il Partito attraverso i diversi passaggi: dal Congresso al
Comitato Centrale al Politburo alla Segreteria al Capo Supremo.
Non si può andare contro la Storia
dell’Umanità.
Anche il nazismo ebbe il suo riferimento
generale, ma non era la Storia, esso era la Natura e, come nel caso del
comunismo, non si può agire contro la Natura.
Scienza e tecnica in Germania avevano
raggiunto risultati notevoli in numerosi campi, soprattutto dopo l’unificazione
del 1866, ma non era a questo tipo di sviluppo scientifico che i nazisti
facevano riferimento. Essi guardavano con interesse alle recenti teorie
sull’evoluzione che ormai risultavano acquisite un po' ovunque, ovviamente attraverso
un processo di interpretazione che non ritroviamo in Darwin. Le teorie
evoluzioniste associate all’idea di scienza moderna intesa come ricerca di
leggi universali avevano portato altri a elaborazioni che erano proiezioni
soggettive.
I romanzi di Zola, sulla scia del
filosofo H. Taine, credono di poter far risalire i comportamenti umani a tre
fattori: la razza, l’ambiente e il momento storico; Lombroso, medico e
antropologo, dette vita all’antropologia criminale, mentre si diffuse il
darwinismo sociale, che portava sul piano sociale i principi darwiniani di
lotta per la sopravvivenza e di selezione naturale del più adatto.
La Natura è superiore all’uomo e la
Natura parla di specie che si sono evolute e specie che si sono fermate a un
livello inferiore: perché questo non dovrebbe avvenire anche all’interno delle
singole specie, come quella umana? D’altra parte il mondo era ormai unificato e
si conoscevano tutti i luoghi e tutti i loro abitanti ed era sotto gli occhi di
tutti che esistevano profonde differenze tra popoli che abitavano certe regioni
e popoli che in altri luoghi vivevano in modo profondamente diverso. Sembrava
che per certi popoli il tempo si fosse fermato. Da qui nacque il principio per
cui dentro la specie umana esistevano livelli differenti e la razza ariana era
senz’altro la razza superiore: tra i popoli ariani quello tedesco aveva una
missione da compiere e non poteva essere fermato. Ognuno doveva riconoscerla e
accettarla, stando al proprio posto. Sulla missione del popolo tedesco esistevano
importanti lavori da più di un secolo e un intellettuale, molto lontano dal
nazismo, come Thomas Mann identificava lo storico scontro tra Francia e
Germania come un conflitto tra Civilization e Kultur, dove la prima era il
contingente e la seconda l’assoluto.
Non si può andare contro la Natura.
Su questo terreno operò il nazismo, ma
mentre Taine, Zola, Lombroso, Spencer, Mann esprimevano idee e pensieri, frutto
di studi e riflessioni, idee che facevano parte del dibattito culturale aperto
delle società democratiche, il nazismo impose il suo pensiero come valore
assoluto e procedette senza le pretese teoriche comuniste, ma con la stessa
determinazione. Anche in questo caso si ricorse al Terrore.
E’ da ricordare che la strategia del
Terrore aveva mostrato i suoi frutti nella Russia comunista con la creazione
dei gulag fin dal 1917 e il clima di sospetto e delazione generalizzati che
caratterizzarono la Russia Sovietica fin dagli anni ’20 e che portò alla
distruzione di gran parte dell’apparato per sostituirlo con fedelissimi di
Stalin di cui si ricordano i grandi processi del 1936 ma che colpirono sia a
livello di Comitato Centrale sia a livello periferico.
Hitler ripercorse quanto già fatto in
URSS (in termini di campi di lavoro, questo era il termine esatto, e in termini
di processi ai dirigenti non in linea) andando oltre con la trasformazione di
alcuni campi di concentramento in campi di sterminio: questo avvenne per la
prima volta a Mauthausen e Auschwitz nel 1940.
E’ curioso, nella comprensione del
fenomeno totalitario, come la fede nel comunismo abbia potuto vivere così a
lungo: è dunque necessario tornare alle attitudini di cui parlavo all’inizio.
Menzogna e rimozione sono strumenti da sempre in uso da parte degli uomini per riuscire a
procedere più facilmente. Naturalmente quando la morale era più libera gli
uomini avevano meno problemi: per società in cui il cannibalismo era pratica
condivisa, certi comportamenti che oggi condanniamo non ponevano problemi; lo
stesso vale per gli omicidi rituali e altre caratteristiche. Combattere e
uccidere un nemico era fonte di gloria, mentre oggi si cerca di trattare e
risparmiare vite umane. Per questo menzogna e rimozione assumono un aspetto
sempre maggiore: è cresciuto il divario tra comportamenti umani che sono
cambiati di poco e principi etici che invece si sono profondamente trasformati.
I negazionisti (dell’Olocausto,
dell’allunaggio, del progresso…) sono sempre esistiti, ma il Comunismo ha
saputo utilizzare l’aspirazione a un mondo migliore che è costante di ogni
essere umano per garantire un potere che andava al di là del conosciuto. Per
ottenere questo ha fatto ricorso in modo massiccio a strumenti che
appartenevano alla storia dell’umanità, diffondendo la paura tanto da spingere
alla delazione contro familiari e persone care e punendo senza remore anche il
più piccolo errore, reale o considerato tale.
La menzogna era praticata dal potere a
tutti i livelli, ma era diventata comune anche tra la popolazione che a seguito
di minacce, ricatti e continue pressioni finiva per dire ciò che gli accusatori
volevano sentire.
La rimozione portava a nascondere tutti
gli episodi che avrebbero messo sotto accusa il potere comunista: la mancanza
di diritti e di una stampa abbastanza libera permetteva che l’informazione
fosse sostituita dalla propaganda che si tradusse inevitabilmente
nell’indottrinamento.
Questi due aspetti dell’ideologia furono
trasferiti anche nel mondo libero e in parte sopravvivono al crollo del
comunismo: milioni di lavoratori in Francia e in Italia hanno continuato a
credere che l’URSS fosse il Paradiso in Terra e chi mostrava le condizioni
reali dei regimi comunisti veniva tacciato di “infamia”, denigrato ed emarginato.
La narrazione che veniva proposta
dall’apparato era fatta di semplici affermazioni ed anatemi, che non
richiedevano un ragionamento e una riflessione, ma semplicemente un “atto di
fede”: questo è il senso profondo dell’Ideologia. Come il rosario e le processioni
della religione o i versetti coranici ripetuti alla nausea nelle mederse,
l’ideologia ha permesso che il comunismo, nelle menti e nei cuori, potesse
durare quasi un secolo.
Il resto lo ha fatto la violenza e il
Terrore.
Ideologia e Terrore: un cocktail
micidiale.
Fuori dalla Germania Nazista e dall’URSS
Comunista c’era un mondo diverso. Anche in Italia, anche nell’Italia fascista.
Ormai è riconosciuto che quello italiano
fu un “totalitarismo imperfetto”, tanto che, a norma di legge, il Re
poté far arrestare Mussolini. Il Regime Fascista non fu un sistema
liberaldemocratico e dobbiamo evitare di confondere il Fascismo del Ventennio
(1922-1943) con il Nazi-Fascismo della Repubblica di Salò. Detto questo, al
regime di Mussolini, in quegli anni, guardarono con interesse sia stati giovani
come l’Argentina dove Peron vi si ispirò chiaramente, sia uomini di chiara fama
ed esperienza liberali, come ricorda Orwell nei suoi diari di guerra con
riferimento all’Inghilterra. Quando si esalta il pensiero keynesiano e il New
Deal di Roosevelt non bisogna dimenticare l’intervento dello Stato italiano
nell’economia con la creazione dell’IRI (con il quale lo Stato
possedeva gran parte delle aziende e delle banche) e la fondazione degli
Istituti Previdenziali (INAIL, INPS, ENPAS).
L’ideologia fascista proveniva dal
socialismo, esaltava il popolo, la forza, il maschio, la famiglia, il genio italico
e rivendicava il legame con l’Impero Romano.
La violenza fascista non ebbe paragoni
con quella hitleriana e staliniana sia nelle piazze sia nei tribunali: 6000 in
totale gli indesiderati al confino (ma tra questi i politici furono qualche
centinaio) e 30 condannati a morte, irredentisti slavi. Ciò non toglie che si
trattasse di un regime non democratico, ancor più totalitario con le Leggi
Razziali (che colpirono più i diritti della vita), ma metterlo sullo stesso
piano dell’URSS e del Terzo Reich è un gravissimo errore. Naturalmente le cose
cambiarono con la Repubblica Sociale Italiana.
Anche a livello culturale la differenza
fu enorme. Mentre in Germania si bruciavano i libri e si pretendeva un atto
motivato di esaltazione del nazismo, mentre in Russia tutto veniva subordinato
al marxismo-leninismo distruggendo ogni forma di creatività e riempiendo i
Gulag di intellettuali, mentre in Cina gli intellettuali sarebbero stati
mandati a lavorare nei campi per essere rieducati e in Cambogia si sarebbe
ucciso chiunque portasse gli occhiali perché poteva essere un pericoloso
intellettuale, in Italia la cultura raggiunse livelli di grande valore, sia
nelle arti sia nelle scienze.
Non fu certo merito del fascismo, ma
avvenne sotto il fascismo.
Molti furono gli scrittori e i poeti, la
pittura ottenne riconoscimenti internazionali, l’architettura fornì splendidi
risultati inserendosi nel razionalismo europeo, il cinema non fu da meno, non furono impedite le traduzioni di opere straniere
(Pavese tradusse negli anni ’30 Joyce e la nuova letteratura americana) mentre
ottennero il Nobel per la Letteratura Grazia Deledda nel 1926 e Luigi
Pirandello nel 1934. In filosofia Croce antifascista e Gentile fascista,
firmatari di due opposti Manifesti, ebbero vasto seguito tra i loro studenti.
L’economista e statistico Gini ebbe un ruolo importante nel Ventennio e ancora
oggi il suo Indice (sulla diseguaglianza) viene continuamente riproposto.
Nel campo delle scienze fisiche occorre
ricordare Fermi, i Ragazzi di via Panisperna e Guglielmo Marconi, ma l’Italia
dette vita a quella che è forse, per concetto e articolazione, l’Enciclopedia
più importante nel mondo, la Treccani.
La lista di intellettuali importanti che
poterono studiare e produrre è enorme e non è questa la sede per fare un elenco
completo. Non furono solo intellettuali, ma anche imprenditori tanto che
l’industria italiana, con o senza l’aiuto dello Stato, mostrò le proprie
capacità creative. Due settori in particolare vanno evidenziati: l’automobile e
l’aeronautica.
Ho in biblioteca (dono di mio padre)
parecchi numeri di due riviste degli anni ’30: L’universo e Le vie
d’Italia.
Nel numero 11 dell’anno XIV (novembre
1933) de L’universo ci sono articoli su “Il rilievo aerofotogrammetrico
della zona etnea” e “Determinazioni di gravità relativa eseguite in Sicilia”
oltre a riferimenti industriali a strumenti moderni di Salmoiraghi e delle
Officine Galileo. Nella rivista sono presenti richiami a riviste di Ottica,
Meteorologia, Chimica, Geologia, Astronomia, Aeronautica e una ricca
bibliografia internazionale.
Ne Le vie d’Italia n.3 anno XXXIX
(marzo 1933) la copertina è dedicata al contatore monofase C.G.S. Nell’interno
sono richiamati Alfa Romeo (produzione motori e macchinari industriali), Scaini
(batterie), Standard (radiatori), Foltzer (lubrificanti), Ikonia (macchine
fotografiche), Lagomarsino (macchine contabili), Electrolux (aspirapolveri),
Selochrome (rullini) e tanti altri prodotti. Gli articoli, oltre a valorizzare
le bellezze italiane, parlano di interventi di rinnovamento al porto di
Catania, delle risorgive padane, dell’evoluzione della ruota e degli
pneumatici. Per concludere molte pagine di informazione, e non di propaganda, e
una ricca bibliografia.
Sono
solo esempi che mostrano come la ricerca scientifica in Italia era al passo con
i tempi e che l’avvento del fascismo non aveva né contrastato né asservito.
Certamente molte cose cambiarono con le Leggi razziali del 1938 soprattutto
perché molti intellettuali erano ebrei, ma l’élite intellettuale italiana, pur
tra compromessi, seppe continuare il proprio lavoro, così che dopo la guerra
non si dovette ripartire da zero e lo sforzo intellettuale e imprenditoriale
poté continuare, almeno fino al boom economico.
Molti
più danni avrebbe fatto la stagione successiva al ’68 che volle ridurre ogni
attività umana alla dimensione politica, svalorizzando il merito, l’impegno e
la responsabilità.
Come
abbiamo visto nei precedenti capitoli, l’influenza marxista, pura o diluita,
ebbe un credito enorme facendo breccia soprattutto là dove la cultura e la
riflessione erano strutturati in modo più semplice, proponendosi talvolta
attraverso slogan facili. Fuori dall’URSS e dalla Cina (il nazismo di fatto
finì col suicidio di Hitler) ciò che da lì proveniva ebbe vita lunga, riproducendo,
non sempre allo stesso modo, il cocktail inventato in quei Paesi: Ideologia e
Terrore. L’ Ideologia attirava con le sue espressioni di libertà, democrazia e
uguaglianza, mentre il Terrore
garantiva al Gruppo Dirigente Rivoluzionario tutto il Potere ottenuto, perché
l’adesione ideologica è sempre di tipo moralistico e, prima o poi, deve fare i
conti con la realtà. Spesso si tende a sottovalutare l’influenza del comunismo
nello scenario internazionale successivo alla Seconda Guerra Mondiale e ancora
oggi c’è chi continua a considerare il comunismo come un pensiero politico
qualsiasi, al pari delle varie correnti della cultura liberale o
socialdemocratica. Sappiamo, perché lo dicono i testi classici del marxismo,
che la presenza comunista nei sistemi democratici serve solo a mettere bastoni
tra le ruote e denunciare lo Stato Borghese sfruttando gli spazi della libertà,
La guerra finisce nel 1945 e già nel 1946
scoppia in Grecia una guerra civile che durò tre anni, nel 1949 si instaura il
regime comunista di Mao Tse-tung, nel 1950 la Corea del Nord invade la Corea
del Sud e il conflitto dura tre anni, negli anni ’50 furono create dittature
comuniste nell’Europa dell’Est nonostante gli accordi di Yalta prevedessero
libere elezioni e regimi democratici; dopo gli accordi di Ginevra del 1954 il
Vietnam del Nord iniziò una politica destabilizzante in tutto il Sud Est
Asiatico (Vietnam, Laos e Cambogia) dove la sconfitta tattica americana si
rivelò una vittoria strategica (boat people, crimini di Pol Pot, economia di
mercato). Anche l’Indonesia fu teatro di numerosi episodi di guerriglia da
parte di forze legate al Partito Comunista i cui dirigenti si formavano o a
Mosca o a Pechino, provocando una repressione durissima.
Nel continente americano la rivoluzione
cubana si trasformò ben presto in comunista, mentre tutto il centro e il sud
furono devastati dalla guerriglia di forze rivoluzionarie ispirate ora all’URSS
ora alla Cina, paesi che nel frattempo erano entrati in conflitto.
In Africa l’influenza comunista più o meno
radicale fu forte praticamente in tutti i paesi, dall’Algeria allo Zimbabwe,
mentre l’indipendenza delle colonie portoghesi dette vita a guerre civili
guidate da opposte fazioni marxiste o marxiste-leniniste con l’intervento
persino di soldati cubani.
Lo schema è sempre quello leninista del colpo
di stato del 1918: creare una forte organizzazione militare che opera in
clandestinità (talvolta accompagnata da una componente politica che si presenta
in forme legali). L’obbiettivo è sempre quello del Manifesto del Partito
Comunista di K. Marx: abbattere lo Stato Borghese. Come amava recitare Mao
Tse-tung “La rivoluzione non è un pranzo
di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può
fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia o
cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza.” E’ curioso che, nonostante queste premesse, dopo ogni atto
violento, ci sia stato e ci sia ancora qualcuno che, godendo della libertà di
espressione, giustifica gli avvenimenti o li ridimensiona: trasformando i
terroristi in “compagni che sbagliano” (è successo anche da noi con le Brigate
Rosse) non solo si fa un errore enorme di valutazione storica, ma soprattutto
si sposta l’attenzione (e le colpe) sulla società liberaldemocratica.
“Chi la fa l’aspetti” recita un proverbio, e Mao sarebbe stato
d’accordo.
La storia del Secondo dopoguerra è fortemente condizionata da
questa strategia che la tenuta dei Paesi Occidentali ha permesso di sconfiggere
non solo grazie a migliori condizioni di vita, ma anche alla difesa, quasi
ossessiva, dei valori che ne sono alla base, in primis la libertà declinata in
tutti i suoi aspetti. L’ideologia, diffusa soprattutto in Europa, ha permesso
che quella strategia si prolungasse più del dovuto, ma alla fine anche da noi
quell’atteggiamento ideologico ha dovuto fare i conti con il principio di
realtà. Tutti i rivoluzionari esaltati come liberatori alla fine hanno mostrato
il loro volto di carnefici: è successo per Mao, per Ho Chi-Min, per Pol Pot,
per Mugabe, per Saddam Hussein, per Assad, per Ben Bella, per Nasser, per
Gheddafi, per Arafat, per Castro e Che Guevara.
La storia del ‘900 ha raggiunto drammi senza precedenti, ma ha
insegnato a guardare gli avvenimenti e i personaggi senza la lente del
moralismo e dell’anacronismo, anche se risultano essere ancora strumenti alla
moda. La drammaticità dei fatti non è legata a un cambiamento della natura
umana, ma al fatto che la società è diventata prima di massa e poi globale,
dando vita a un numero enorme di protagonisti che hanno creato relazioni ancora
più numerose. In questo quadro, senza dubbio di una complessità straordinaria,
si sono dovuti affrontare sempre nuovi aspetti che hanno finito col creare
grandi difficoltà. Come sempre nella vita dell’uomo, ogni difficoltà
rappresenta anche una possibilità, anzi un’opportunità.
Non possiamo nascondere che categorie ideologiche sopravvivano a
tutti i livelli, ma è anche vero che il costume ideologico di confrontarsi con
la realtà è notevolmente diminuito. Estremismo ecologista e radicalismo
islamico, seppur profondamente diversi, sono i flussi odierni a maggior portata
ideologica: il primo è frutto della confusione che naturalmente genera la
libertà, il secondo è assolutismo religioso di antico retaggio.
In questo quadro ciò che manca non sono i valori, il cui
carattere universale è stato spazzato via dall’evoluzione, ma il punto di
osservazione da cui guardare passato, presente e futuro. Riprenderò questi temi
nell’ultimo capitolo, ma certamente quel punto di osservazione deve avere la
capacità di ergersi molto al di sopra di quella nebbia che è l’ideologia:
questa impedisce di godere del panorama e allo stesso tempo di non vedere il
crepaccio che ci sta davanti.
P.S.
Per molti il comunismo è un’ideologia come le altre, liberali
socialdemocratiche ecc. Purtroppo si confonde ancora una volta ideologia con
idea. Il marxismo non è un’ideologia, ma una teoria, non diversa dal pensiero
di Smith o Mill: esso diventa ideologia quando cerca di passare alla pratica
trasformandosi in azione, perché allora ha bisogno di mentire, rimuovere,
nascondere, giustificare, coprire, presentarsi come vittima e salvatrice. Marx
dice che è necessaria una rivoluzione e una dittatura del proletariato, ma ciò
che a lui sembrava facile e che lui realizzava sotto forma di parole, da Lenin
in poi si cercò di realizzarlo: l’inchiostro si trasformò in sangue.
Diversamente da un’idea, un’ideologia nasce nel passaggio dalla teoria alla
pratica, quando è necessario forzare la realtà perché il confronto con la
realtà vanificherebbe i presupposti della teoria. Naturalmente nessuno,
individuo o gruppo, è esente da un atteggiamento o costume ideologico, ma la
scelta liberale permette di evitare percorsi senza ritorno: il dramma storico
infatti nasce quando si fa dell’ideologia il senso della propria esistenza.
Ancora
una volta non si impara dagli errori del passato, se il passato è ridotto a
eventi e singole persone, ma soprattutto se gli orizzonti rimangono generici e
indefiniti, segnati da moralismo, anacronismo e relativismo culturale.
Orizzonti sempre più di moda, da quando la cultura è divenuta fenomeno di
massa.
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