Il 1900: ideologia e politica
Ruolo della cultura ideologica e politica nella società di massa




Per molti, soprattutto nati in questo secolo, la società di massa consiste nei “social” come Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin e simili.

Per i loro genitori invece il riferimento erano i “mass media”, giornali, riviste, radio, TV e poi Internet.

In realtà queste sono solo manifestazioni esteriori e proiezioni di qualcosa di più profondo che ha inizio alla fine dell’Ottocento e si è consolidato nei decenni successivi, aprendo spazi e possibilità che si sono materializzati in strumenti che cercano di incarnarne il senso.

Per chi fosse interessato al senso di tutto ciò, senza perdersi nei particolari costruiti, consiglio due libri, che ritengo fondamentali: La ribellione delle masse di Ortega y Gasset del 1930, ma tradotto (chissà perché) in italiano solo nel 1962; Massa e potere di Elias Canetti, del 1960, ma tradotto (chissà perché) in italiano ben 12 anni dopo.

Non farò qui il riassunto di questi due libri che, seppur acquisiti da me in tarda età, hanno contribuito non poco alla mia formazione.

La società di massa non è sempre esistita, perché la stragrande quantità della popolazione ha sempre vissuto in modo frammentato, dispersa nelle campagne, maturando dunque un atteggiamento e un costume fortemente polverizzati, che però per la scarsità dei mezzi a disposizione si presentava estremamente omogeneo.

Si parlava di masse solo quando la peste falciava milioni di persone come avvenne in Europa nel 1348 oppure quando davano vita alle jacqueries con cui sfogavano la rabbia e la fame: insomma soltanto situazioni episodiche, gravi certo ma episodiche.

Le masse si affacciano sulla scena della storia con la nascita dell’industria e con la trasformazione moderna delle città, fattori che hanno dato il via a tutta una serie di elementi che hanno permesso la costruzione solida e matura della società di massa, cioè di quell’insieme di relazioni che esaltano non la parte ma il tutto.



La divisione che Marx fece in classi era troppo astratta e generica, ma coglieva il senso di quella trasformazione, anche se, per poterla praticare, doveva ricondurre il tutto a livello politico. Il termine “popolo” fu sempre odiato dai marxisti perché saltava la divisione in classi e proponeva una visione interclassista, che non rispondeva correttamente ai canoni del maestro: di fatto l’intellettuale era borghese e doveva tradire le sue origini (Lenin), il proletariato esisteva concretamente solo attraverso il suo partito che doveva praticare delle alleanze o forzare la mano (Mao Tse-tung).

Massa è invece qualcosa di nuovo e, a posteriori, conferma quanto Ortega y Gasset aveva svelato: lo dimostrano non solo i regimi autoritari come il fascismo, il nazismo e il peronismo, ma proprio la società democratica che dagli Stati Uniti si è diffusa in tutto il mondo. La società di massa incontra l’economia di mercato e così nasce la produzione di massa: quello che con disprezzo viene oggi chiamato “consumismo” non è altro che la possibilità per le masse di accedere a beni in precedenza riservati alle élite. Scuola, salute, cultura, ma anche cellulari, automobili, vestiti, cibo, bevande e persino vacanze: naturalmente chi ha più soldi ne gode più e meglio, ma chi ne ha meno non ne è privato, come accadeva fino a 150 anni fa.

La massa. Le masse.

Senza questa novità non riusciremo mai a comprendere in pieno le caratteristiche politiche e soprattutto ideologiche che caratterizzano il 1900.

Nei miei articoli ho spesso parlato dell’ideologia come di qualcosa che ha minato e mina le relazioni sociali, dando per scontato cosa essa significhi e quali prospettive le siano inerenti. Molti miei lettori continuano a confondere il termine “ideologia” con due termini che però vogliono dire altro: “idea” e “ideale”. Approfitto di questo capitolo per cercare di chiarire meglio sia il senso di questa parola sia cosa essa abbia comportato e continui a comportare, nonostante il suo peso sia sempre minore.



E’ caratteristica dell’essere umano mentire e rimuovere episodi spiacevoli dalla propria memoria: se non ci sono sensi di colpa tutto ciò permette alle persone di andare avanti fieri di se stesse. E’ sempre successo e continuerà a succedere nonostante l’esigenza di verità venga sempre più espressa.

Ciò che succede a livello individuale avviene anche al livello più ampio del piano sociale: quando i rapporti personali e politici erano semplici la risposta era semplice e la menzogna in campo politico, diretta o selezionata, è sempre stata riconosciuta come necessaria. Per quanto osteggiato da più parti, Machiavelli trova conferme della sua analisi nella realtà: se puoi dire la verità dilla, ma se dirla comporta la sconfitta allora è meglio mentire.

In una società semplice le persone non avevano strumenti per procedere ad una verifica e credevano a ciò che veniva loro fatto credere da chi li comandava: si identificavano in essi.

Nella società di massa, la cui complessità non è in discussione come dimostrano l’esperienza della Russia arretrata e della Germania avanzata, le cose si pongono in modo radicalmente diverso.

La società di massa che si muove dentro istituzioni liberaldemocratiche tende a mentire e a rimuovere in modo ridotto, perché esistono pesi e contrappesi, poteri e contropoteri, una libera informazione e un gioco culturale e politico ampio.

Diametralmente all’opposto, è invece la società di massa che opera dentro istituzioni non democratiche: qui la massa è strumento e soggetto allo stesso tempo della nascita e della crescita di regimi dittatoriali. Non solo, ma dà vita a una forma nuova di dittatura: nasce il totalitarismo.

Da un semplice punto di vista lessicale il termine “totalitarismo” indica un potere che copre la totalità della società, ma da un punto di vista storico quel termine ha un significato più preciso e determinato che ci permette di fare dei confronti e stabilire delle differenze. L’analisi del totalitarismo più compiuta appartiene ad Hanna Arendt ed è del 1951 (tradotto -chissà perché- in italiano solo nel 1967): essa ci parla di comunismo e nazismo, mentre correttamente tiene fuori il fascismo italiano perché non si presentò totalitario sin dalle origini. In più va detto, con la stragrande maggioranza degli storici, che quello fascista fu un “totalitarismo imperfetto” visto il ruolo della Chiesa e della Monarchia (che non a caso fece arrestare de iure Mussolini nel 1943).

Il totalitarismo che condiziona pesantemente il XX secolo è caratterizzato da due aspetti, strettamente collegati tra loro: l’ideologia e il terrore.

La parola ideologia ha sempre più assunto il significato di visione del mondo che cristallizza la realtà, così da rispondere sempre secondo canoni univoci e prestabiliti, non necessariamente falsi o falsificati, ma organizzati in modo tale che, dati i presupposti mostrati, ne derivino le conseguenze previste.

Basta mettere in discussione le premesse per avere una visione più ampia, perché la verità non è come una formula matematica, ma è un insieme di relazioni complesse: in antitesi all’ideologia c’è solo la cultura, che, come dice la parola stessa, “coltiva” e dunque permette di produrre nuovi frutti i cui semi daranno vita ad ulteriori frutti e così via in un processo che non ha limiti. Come la storia dell’uomo dimostra.

Gli esempi possono essere numerosi.

Si va dalla pretesa verità del PCI come il Partito dei lavoratori agli USA nemici della pace a Nietzsche precursore del nazismo a Baudelaire la cui poesia è fuga dalla realtà al consumismo causa di tutti i mali a Pascoli poeta delle piccole cose: la realtà è già inscatolata e per ogni parola pensiero evento è pronta la risposta.

Per fortuna, come la realtà svela sempre di più la sua complessità, così anche le persone sono sempre più complesse e riescono a distinguere. Non tutte, purtroppo.

Ma torniamo al 1900 e al peso che proprio l’ideologia ha avuto nell’affermazione dei due totalitarismi. E se il nazismo è stato al potere per 12 anni senza significative influenze successive, il Comunismo in URSS ha vissuto per 73 anni condizionando il mondo intero sia conquistando il potere in Europa dell’Est, in Asia, a Cuba sia destabilizzando l’intero continente africano e il Sud America sia ottenendo il consenso di milioni di persone un po' dappertutto, ma soprattutto in Europa.

Come è stato possibile che tutto ciò avvenisse impegnando la vita delle persone per un intero secolo nonostante già negli anni ’30-’40 gli orrori staliniani fossero conosciuti? E come è stato possibile che il dramma della rivoluzione culturale cinese invece di essere denunciato trovasse sostenitori del calibro di J. P. Sartre?

Come è stato possibile che un popolo come quello tedesco che aveva dato vita a grandi poeti, grandi musicisti, grandi filosofi, grandi scrittori cadesse nelle grinfie spirituali di un pensiero aberrante come quello nazista?

Occorre innanzitutto abbandonare categorie come quella della “follia” troppo spesso usata per spiegare le decisioni di Hitler o quelle morbide degli “errori” e delle “deviazioni dalla giusta idea” per quanto riguarda Stalin.

L’analisi di Hanna Arendt fornisce strumenti importanti per comprendere quei due fenomeni. L’ideologia e il terrore sono i due elementi che forniscono i giusti chiarimenti.

L’ideologia non è ignoranza o falsità, essa si presenta come un insieme di valori e conoscenze che hanno dei riferimenti culturali anche importanti e per questo motivo non è facile il suo disvelamento e smascheramento, soprattutto se si avvale della propaganda, altro aspetto tipico dei regimi totalitari.

Parlerò prima del comunismo e poi del nazismo non solo per la sua importanza, ma soprattutto perché fu il primo a manifestarsi compiutamente, tanto che alcuni storici ritengono che l’esperienza nazista fu debitrice di quella sovietica (terrore e gulag in primo luogo).

Le basi culturali comuniste fanno riferimento al pensiero di Marx che sviluppa la sua teoria fortemente influenzato dagli sviluppi e dai successi della scienza moderna, tanto da chiamare le proprie teorie “materialismo storico e scientifico”. La scienza come si afferma nel 1800 è deterministica e capace di elaborare leggi universali: date certe premesse le conseguenze sono quelle e solo quelle; come avviene quando, aumentando la velocità, diminuisce il tempo impiegato a coprire un determinato spazio.

L’analisi di Marx, che è soprattutto un filosofo e uno storico, si pone in questi termini. La lotta di classe è il motore della storia e ne ha determinato le continue trasformazioni fino allo stato attuale in cui in lotta sono borghesia e proletariato: seguendo le dinamiche del passato sarà inevitabile la vittoria del proletariato e l’affermazione di una società prima socialista (dittatura del proletariato) e poi comunista (senza più classi sociali).

Le basi dunque dello sviluppo del pensiero comunista in termini ideologici non sono frutto di fantasie, ma appartengono a un filone importante della cultura ottocentesca e trova riferimenti anche nella letteratura e nella politica, dando poi vita alla famiglia socialista. Marx rappresenta la punta dell’iceberg.

La cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre e l’istaurazione del comunismo in Russia non appartengono più alla lotta politica da sempre sviluppata. Fino ad allora sono sempre stati protagonisti gruppi, economici sociali politici, che scendevano in campo per difendere e affermare i propri interessi: così è stato tra guelfi e ghibellini, tra armagnacchi e borgognoni, tra le due rose inglesi, tra cattolici e protestanti, tra piemontesi e austriaci, tra gli operai e i loro padroni. Possiamo anche allargare il discorso e mettere in campo gli Stati: la Germania e la Francia per difendere o allargare i propri confini, l’Italia e la Libia per migliorare le condizioni di vita dei nostri connazionali.

Interessi particolari, anche ampi, contro altri interessi particolari.

Il comunismo è andato oltre per poter legittimare il proprio potere e il terrore necessario a garantirlo: la posta in palio è molto più grande e coincide con il futuro dell’Umanità (come recita tra l’altro la canzone L’Internazionale: Su lottiam! L'Ideale nostro alfine sarà, l'Internazionale, futura umanità!). L’ideologia blocca la storia e la cultura: non c’è passato che non determini un preciso futuro: la storia ha visto la lotta delle classi, ma il capitalismo ha creato chi lo affosserà e con lui tutte le divisioni tra classi. E’ scienza. Chi si oppone non lo fa tanto contro i comunisti, ma contro l’Umanità intera, il cui futuro è certo e segnato dalla scienza marxista: i comunisti non si fanno portavoce di un interesse di parte, ma di qualcosa di generale e universale. Questo giustifica una lotta dura, anzi una guerra senza quartiere a cui non viene sottratto nessuno: è il Terrore. Robespierre li aveva preceduti, ma lui combatteva solo coloro che si opponevano alla Rivoluzione Francese, mentre i comunisti distruggono tutti coloro che anche solo osano mettere in discussione singole scelte. Il Kulako che si oppone al trasferimento dai suoi campi non agisce contro le leggi del partito e dello Stato, ma contro l’Umanità stessa; il membro del Partito che vorrebbe discutere degli ordini di Stalin è un nemico del popolo.

Ecco dunque il senso dell’ideologia: farsi interprete di un volere superiore che opererebbe a favore della stragrande maggioranza della gente; di quel volere, essendo frutto della scienza, non ci sono interpretazioni possibili, per cui la strada è unica e di essa è garante il Partito attraverso i diversi passaggi: dal Congresso al Comitato Centrale al Politburo alla Segreteria al Capo Supremo.

Non si può andare contro la Storia dell’Umanità.



Anche il nazismo ebbe il suo riferimento generale, ma non era la Storia, esso era la Natura e, come nel caso del comunismo, non si può agire contro la Natura.

Scienza e tecnica in Germania avevano raggiunto risultati notevoli in numerosi campi, soprattutto dopo l’unificazione del 1866, ma non era a questo tipo di sviluppo scientifico che i nazisti facevano riferimento. Essi guardavano con interesse alle recenti teorie sull’evoluzione che ormai risultavano acquisite un po' ovunque, ovviamente attraverso un processo di interpretazione che non ritroviamo in Darwin. Le teorie evoluzioniste associate all’idea di scienza moderna intesa come ricerca di leggi universali avevano portato altri a elaborazioni che erano proiezioni soggettive.

I romanzi di Zola, sulla scia del filosofo H. Taine, credono di poter far risalire i comportamenti umani a tre fattori: la razza, l’ambiente e il momento storico; Lombroso, medico e antropologo, dette vita all’antropologia criminale, mentre si diffuse il darwinismo sociale, che portava sul piano sociale i principi darwiniani di lotta per la sopravvivenza e di selezione naturale del più adatto.

La Natura è superiore all’uomo e la Natura parla di specie che si sono evolute e specie che si sono fermate a un livello inferiore: perché questo non dovrebbe avvenire anche all’interno delle singole specie, come quella umana? D’altra parte il mondo era ormai unificato e si conoscevano tutti i luoghi e tutti i loro abitanti ed era sotto gli occhi di tutti che esistevano profonde differenze tra popoli che abitavano certe regioni e popoli che in altri luoghi vivevano in modo profondamente diverso. Sembrava che per certi popoli il tempo si fosse fermato. Da qui nacque il principio per cui dentro la specie umana esistevano livelli differenti e la razza ariana era senz’altro la razza superiore: tra i popoli ariani quello tedesco aveva una missione da compiere e non poteva essere fermato. Ognuno doveva riconoscerla e accettarla, stando al proprio posto. Sulla missione del popolo tedesco esistevano importanti lavori da più di un secolo e un intellettuale, molto lontano dal nazismo, come Thomas Mann identificava lo storico scontro tra Francia e Germania come un conflitto tra Civilization e Kultur, dove la prima era il contingente e la seconda l’assoluto.

Non si può andare contro la Natura.

Su questo terreno operò il nazismo, ma mentre Taine, Zola, Lombroso, Spencer, Mann esprimevano idee e pensieri, frutto di studi e riflessioni, idee che facevano parte del dibattito culturale aperto delle società democratiche, il nazismo impose il suo pensiero come valore assoluto e procedette senza le pretese teoriche comuniste, ma con la stessa determinazione. Anche in questo caso si ricorse al Terrore.



E’ da ricordare che la strategia del Terrore aveva mostrato i suoi frutti nella Russia comunista con la creazione dei gulag fin dal 1917 e il clima di sospetto e delazione generalizzati che caratterizzarono la Russia Sovietica fin dagli anni ’20 e che portò alla distruzione di gran parte dell’apparato per sostituirlo con fedelissimi di Stalin di cui si ricordano i grandi processi del 1936 ma che colpirono sia a livello di Comitato Centrale sia a livello periferico.

Hitler ripercorse quanto già fatto in URSS (in termini di campi di lavoro, questo era il termine esatto, e in termini di processi ai dirigenti non in linea) andando oltre con la trasformazione di alcuni campi di concentramento in campi di sterminio: questo avvenne per la prima volta a Mauthausen e Auschwitz nel 1940.

E’ curioso, nella comprensione del fenomeno totalitario, come la fede nel comunismo abbia potuto vivere così a lungo: è dunque necessario tornare alle attitudini di cui parlavo all’inizio.

Menzogna e rimozione sono strumenti da sempre in uso da parte degli uomini per riuscire a procedere più facilmente. Naturalmente quando la morale era più libera gli uomini avevano meno problemi: per società in cui il cannibalismo era pratica condivisa, certi comportamenti che oggi condanniamo non ponevano problemi; lo stesso vale per gli omicidi rituali e altre caratteristiche. Combattere e uccidere un nemico era fonte di gloria, mentre oggi si cerca di trattare e risparmiare vite umane. Per questo menzogna e rimozione assumono un aspetto sempre maggiore: è cresciuto il divario tra comportamenti umani che sono cambiati di poco e principi etici che invece si sono profondamente trasformati.

I negazionisti (dell’Olocausto, dell’allunaggio, del progresso…) sono sempre esistiti, ma il Comunismo ha saputo utilizzare l’aspirazione a un mondo migliore che è costante di ogni essere umano per garantire un potere che andava al di là del conosciuto. Per ottenere questo ha fatto ricorso in modo massiccio a strumenti che appartenevano alla storia dell’umanità, diffondendo la paura tanto da spingere alla delazione contro familiari e persone care e punendo senza remore anche il più piccolo errore, reale o considerato tale.

La menzogna era praticata dal potere a tutti i livelli, ma era diventata comune anche tra la popolazione che a seguito di minacce, ricatti e continue pressioni finiva per dire ciò che gli accusatori volevano sentire.

La rimozione portava a nascondere tutti gli episodi che avrebbero messo sotto accusa il potere comunista: la mancanza di diritti e di una stampa abbastanza libera permetteva che l’informazione fosse sostituita dalla propaganda che si tradusse inevitabilmente nell’indottrinamento.

Questi due aspetti dell’ideologia furono trasferiti anche nel mondo libero e in parte sopravvivono al crollo del comunismo: milioni di lavoratori in Francia e in Italia hanno continuato a credere che l’URSS fosse il Paradiso in Terra e chi mostrava le condizioni reali dei regimi comunisti veniva tacciato di “infamia”, denigrato ed emarginato.

La narrazione che veniva proposta dall’apparato era fatta di semplici affermazioni ed anatemi, che non richiedevano un ragionamento e una riflessione, ma semplicemente un “atto di fede”: questo è il senso profondo dell’Ideologia. Come il rosario e le processioni della religione o i versetti coranici ripetuti alla nausea nelle mederse, l’ideologia ha permesso che il comunismo, nelle menti e nei cuori, potesse durare quasi un secolo.

Il resto lo ha fatto la violenza e il Terrore.

Ideologia e Terrore: un cocktail micidiale.



Fuori dalla Germania Nazista e dall’URSS Comunista c’era un mondo diverso. Anche in Italia, anche nell’Italia fascista.

Ormai è riconosciuto che quello italiano fu un “totalitarismo imperfetto”, tanto che, a norma di legge, il Re poté far arrestare Mussolini. Il Regime Fascista non fu un sistema liberaldemocratico e dobbiamo evitare di confondere il Fascismo del Ventennio (1922-1943) con il Nazi-Fascismo della Repubblica di Salò. Detto questo, al regime di Mussolini, in quegli anni, guardarono con interesse sia stati giovani come l’Argentina dove Peron vi si ispirò chiaramente, sia uomini di chiara fama ed esperienza liberali, come ricorda Orwell nei suoi diari di guerra con riferimento all’Inghilterra. Quando si esalta il pensiero keynesiano e il New Deal di Roosevelt non bisogna dimenticare l’intervento dello Stato italiano nell’economia con la creazione dell’IRI (con il quale lo Stato possedeva gran parte delle aziende e delle banche) e la fondazione degli Istituti Previdenziali (INAIL, INPS, ENPAS).

L’ideologia fascista proveniva dal socialismo, esaltava il popolo, la forza, il maschio, la famiglia, il genio italico e rivendicava il legame con l’Impero Romano.

La violenza fascista non ebbe paragoni con quella hitleriana e staliniana sia nelle piazze sia nei tribunali: 6000 in totale gli indesiderati al confino (ma tra questi i politici furono qualche centinaio) e 30 condannati a morte, irredentisti slavi. Ciò non toglie che si trattasse di un regime non democratico, ancor più totalitario con le Leggi Razziali (che colpirono più i diritti della vita), ma metterlo sullo stesso piano dell’URSS e del Terzo Reich è un gravissimo errore. Naturalmente le cose cambiarono con la Repubblica Sociale Italiana.

Anche a livello culturale la differenza fu enorme. Mentre in Germania si bruciavano i libri e si pretendeva un atto motivato di esaltazione del nazismo, mentre in Russia tutto veniva subordinato al marxismo-leninismo distruggendo ogni forma di creatività e riempiendo i Gulag di intellettuali, mentre in Cina gli intellettuali sarebbero stati mandati a lavorare nei campi per essere rieducati e in Cambogia si sarebbe ucciso chiunque portasse gli occhiali perché poteva essere un pericoloso intellettuale, in Italia la cultura raggiunse livelli di grande valore, sia nelle arti sia nelle scienze.

Non fu certo merito del fascismo, ma avvenne sotto il fascismo.

Molti furono gli scrittori e i poeti, la pittura ottenne riconoscimenti internazionali, l’architettura fornì splendidi risultati inserendosi nel razionalismo europeo, il cinema non fu da meno, non furono impedite le traduzioni di opere straniere (Pavese tradusse negli anni ’30 Joyce e la nuova letteratura americana) mentre ottennero il Nobel per la Letteratura Grazia Deledda nel 1926 e Luigi Pirandello nel 1934. In filosofia Croce antifascista e Gentile fascista, firmatari di due opposti Manifesti, ebbero vasto seguito tra i loro studenti. L’economista e statistico Gini ebbe un ruolo importante nel Ventennio e ancora oggi il suo Indice (sulla diseguaglianza) viene continuamente riproposto.

Nel campo delle scienze fisiche occorre ricordare Fermi, i Ragazzi di via Panisperna e Guglielmo Marconi, ma l’Italia dette vita a quella che è forse, per concetto e articolazione, l’Enciclopedia più importante nel mondo, la Treccani.

La lista di intellettuali importanti che poterono studiare e produrre è enorme e non è questa la sede per fare un elenco completo. Non furono solo intellettuali, ma anche imprenditori tanto che l’industria italiana, con o senza l’aiuto dello Stato, mostrò le proprie capacità creative. Due settori in particolare vanno evidenziati: l’automobile e l’aeronautica.

Ho in biblioteca (dono di mio padre) parecchi numeri di due riviste degli anni ’30: L’universo e Le vie d’Italia.

Nel numero 11 dell’anno XIV (novembre 1933) de L’universo ci sono articoli su “Il rilievo aerofotogrammetrico della zona etnea” e “Determinazioni di gravità relativa eseguite in Sicilia” oltre a riferimenti industriali a strumenti moderni di Salmoiraghi e delle Officine Galileo. Nella rivista sono presenti richiami a riviste di Ottica, Meteorologia, Chimica, Geologia, Astronomia, Aeronautica e una ricca bibliografia internazionale.

Ne Le vie d’Italia n.3 anno XXXIX (marzo 1933) la copertina è dedicata al contatore monofase C.G.S. Nell’interno sono richiamati Alfa Romeo (produzione motori e macchinari industriali), Scaini (batterie), Standard (radiatori), Foltzer (lubrificanti), Ikonia (macchine fotografiche), Lagomarsino (macchine contabili), Electrolux (aspirapolveri), Selochrome (rullini) e tanti altri prodotti. Gli articoli, oltre a valorizzare le bellezze italiane, parlano di interventi di rinnovamento al porto di Catania, delle risorgive padane, dell’evoluzione della ruota e degli pneumatici. Per concludere molte pagine di informazione, e non di propaganda, e una ricca bibliografia.

Sono solo esempi che mostrano come la ricerca scientifica in Italia era al passo con i tempi e che l’avvento del fascismo non aveva né contrastato né asservito. Certamente molte cose cambiarono con le Leggi razziali del 1938 soprattutto perché molti intellettuali erano ebrei, ma l’élite intellettuale italiana, pur tra compromessi, seppe continuare il proprio lavoro, così che dopo la guerra non si dovette ripartire da zero e lo sforzo intellettuale e imprenditoriale poté continuare, almeno fino al boom economico.

Molti più danni avrebbe fatto la stagione successiva al ’68 che volle ridurre ogni attività umana alla dimensione politica, svalorizzando il merito, l’impegno e la responsabilità.

Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, l’influenza marxista, pura o diluita, ebbe un credito enorme facendo breccia soprattutto là dove la cultura e la riflessione erano strutturati in modo più semplice, proponendosi talvolta attraverso slogan facili. Fuori dall’URSS e dalla Cina (il nazismo di fatto finì col suicidio di Hitler) ciò che da lì proveniva ebbe vita lunga, riproducendo, non sempre allo stesso modo, il cocktail inventato in quei Paesi: Ideologia e Terrore. L’ Ideologia attirava con le sue espressioni di libertà, democrazia e uguaglianza, mentre il Terrore garantiva al Gruppo Dirigente Rivoluzionario tutto il Potere ottenuto, perché l’adesione ideologica è sempre di tipo moralistico e, prima o poi, deve fare i conti con la realtà. Spesso si tende a sottovalutare l’influenza del comunismo nello scenario internazionale successivo alla Seconda Guerra Mondiale e ancora oggi c’è chi continua a considerare il comunismo come un pensiero politico qualsiasi, al pari delle varie correnti della cultura liberale o socialdemocratica. Sappiamo, perché lo dicono i testi classici del marxismo, che la presenza comunista nei sistemi democratici serve solo a mettere bastoni tra le ruote e denunciare lo Stato Borghese sfruttando gli spazi della libertà,

La guerra finisce nel 1945 e già nel 1946 scoppia in Grecia una guerra civile che durò tre anni, nel 1949 si instaura il regime comunista di Mao Tse-tung, nel 1950 la Corea del Nord invade la Corea del Sud e il conflitto dura tre anni, negli anni ’50 furono create dittature comuniste nell’Europa dell’Est nonostante gli accordi di Yalta prevedessero libere elezioni e regimi democratici; dopo gli accordi di Ginevra del 1954 il Vietnam del Nord iniziò una politica destabilizzante in tutto il Sud Est Asiatico (Vietnam, Laos e Cambogia) dove la sconfitta tattica americana si rivelò una vittoria strategica (boat people, crimini di Pol Pot, economia di mercato). Anche l’Indonesia fu teatro di numerosi episodi di guerriglia da parte di forze legate al Partito Comunista i cui dirigenti si formavano o a Mosca o a Pechino, provocando una repressione durissima.

Nel continente americano la rivoluzione cubana si trasformò ben presto in comunista, mentre tutto il centro e il sud furono devastati dalla guerriglia di forze rivoluzionarie ispirate ora all’URSS ora alla Cina, paesi che nel frattempo erano entrati in conflitto.

In Africa l’influenza comunista più o meno radicale fu forte praticamente in tutti i paesi, dall’Algeria allo Zimbabwe, mentre l’indipendenza delle colonie portoghesi dette vita a guerre civili guidate da opposte fazioni marxiste o marxiste-leniniste con l’intervento persino di soldati cubani.

Lo schema è sempre quello leninista del colpo di stato del 1918: creare una forte organizzazione militare che opera in clandestinità (talvolta accompagnata da una componente politica che si presenta in forme legali). L’obbiettivo è sempre quello del Manifesto del Partito Comunista di K. Marx: abbattere lo Stato Borghese. Come amava recitare Mao Tse-tung “La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia o cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza.” E’ curioso che, nonostante queste premesse, dopo ogni atto violento, ci sia stato e ci sia ancora qualcuno che, godendo della libertà di espressione, giustifica gli avvenimenti o li ridimensiona: trasformando i terroristi in “compagni che sbagliano” (è successo anche da noi con le Brigate Rosse) non solo si fa un errore enorme di valutazione storica, ma soprattutto si sposta l’attenzione (e le colpe) sulla società liberaldemocratica.

“Chi la fa l’aspetti” recita un proverbio, e Mao sarebbe stato d’accordo.

La storia del Secondo dopoguerra è fortemente condizionata da questa strategia che la tenuta dei Paesi Occidentali ha permesso di sconfiggere non solo grazie a migliori condizioni di vita, ma anche alla difesa, quasi ossessiva, dei valori che ne sono alla base, in primis la libertà declinata in tutti i suoi aspetti. L’ideologia, diffusa soprattutto in Europa, ha permesso che quella strategia si prolungasse più del dovuto, ma alla fine anche da noi quell’atteggiamento ideologico ha dovuto fare i conti con il principio di realtà. Tutti i rivoluzionari esaltati come liberatori alla fine hanno mostrato il loro volto di carnefici: è successo per Mao, per Ho Chi-Min, per Pol Pot, per Mugabe, per Saddam Hussein, per Assad, per Ben Bella, per Nasser, per Gheddafi, per Arafat, per Castro e Che Guevara.

La storia del ‘900 ha raggiunto drammi senza precedenti, ma ha insegnato a guardare gli avvenimenti e i personaggi senza la lente del moralismo e dell’anacronismo, anche se risultano essere ancora strumenti alla moda. La drammaticità dei fatti non è legata a un cambiamento della natura umana, ma al fatto che la società è diventata prima di massa e poi globale, dando vita a un numero enorme di protagonisti che hanno creato relazioni ancora più numerose. In questo quadro, senza dubbio di una complessità straordinaria, si sono dovuti affrontare sempre nuovi aspetti che hanno finito col creare grandi difficoltà. Come sempre nella vita dell’uomo, ogni difficoltà rappresenta anche una possibilità, anzi un’opportunità.

Non possiamo nascondere che categorie ideologiche sopravvivano a tutti i livelli, ma è anche vero che il costume ideologico di confrontarsi con la realtà è notevolmente diminuito. Estremismo ecologista e radicalismo islamico, seppur profondamente diversi, sono i flussi odierni a maggior portata ideologica: il primo è frutto della confusione che naturalmente genera la libertà, il secondo è assolutismo religioso di antico retaggio.

In questo quadro ciò che manca non sono i valori, il cui carattere universale è stato spazzato via dall’evoluzione, ma il punto di osservazione da cui guardare passato, presente e futuro. Riprenderò questi temi nell’ultimo capitolo, ma certamente quel punto di osservazione deve avere la capacità di ergersi molto al di sopra di quella nebbia che è l’ideologia: questa impedisce di godere del panorama e allo stesso tempo di non vedere il crepaccio che ci sta davanti.



P.S. Per molti il comunismo è un’ideologia come le altre, liberali socialdemocratiche ecc. Purtroppo si confonde ancora una volta ideologia con idea. Il marxismo non è un’ideologia, ma una teoria, non diversa dal pensiero di Smith o Mill: esso diventa ideologia quando cerca di passare alla pratica trasformandosi in azione, perché allora ha bisogno di mentire, rimuovere, nascondere, giustificare, coprire, presentarsi come vittima e salvatrice. Marx dice che è necessaria una rivoluzione e una dittatura del proletariato, ma ciò che a lui sembrava facile e che lui realizzava sotto forma di parole, da Lenin in poi si cercò di realizzarlo: l’inchiostro si trasformò in sangue. Diversamente da un’idea, un’ideologia nasce nel passaggio dalla teoria alla pratica, quando è necessario forzare la realtà perché il confronto con la realtà vanificherebbe i presupposti della teoria. Naturalmente nessuno, individuo o gruppo, è esente da un atteggiamento o costume ideologico, ma la scelta liberale permette di evitare percorsi senza ritorno: il dramma storico infatti nasce quando si fa dell’ideologia il senso della propria esistenza.

Ancora una volta non si impara dagli errori del passato, se il passato è ridotto a eventi e singole persone, ma soprattutto se gli orizzonti rimangono generici e indefiniti, segnati da moralismo, anacronismo e relativismo culturale. Orizzonti sempre più di moda, da quando la cultura è divenuta fenomeno di massa.

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