La modernità: 1700 e 1800
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Cosa si intende per “modernità” e quali furono i salti realizzati nei
due secoli
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ANTE SCRIPTUM
Questo articolo
richiede una precisazione. La modernità come la Scienza non è qualcosa di
assoluto e universale. Per tre secoli si è pensato (e fior di pensatori lo
hanno teorizzato) che finalmente l’umanità aveva raggiunto il “VERO CONCETTO DI
SCIENZA”: con Galileo, Newton & Co. Si era finalmente capito cosa fosse la
Scienza. A partire dal secolo scorso si è visto che quella Scienza era solo una
fase della conoscenza, enorme importante positiva certo, ma solo una fase.
Infatti oggi la Scienza opera su un piano completamente diverso: la Scienza
della Complessità.
Lo stesso discorso
vale per la Modernità: per alcuni secoli (più o meno tre) si è pensato cosa
significasse VERAMENTE “Modernità”. Oggi
sempre più si comprende che quell’insieme di elementi o valori hanno
rappresentato solo una fase della storia umana. Continuità e rottura. Il quadro
non è ancora definito, ma molti aspetti sono in movimento e mostrano
riferimenti profondamente diversi: quale sarà la cornice lo vedremo poi, ma già
ora si possono individuare alcune linee di sviluppo.
L’articolo dopo aver
sintetizzato le varie caratteristiche dei due secoli, il ‘700 e l’800, cerca di
individuare in quei campi queste linee di tendenza. Possibilità, non certezze.
MODERNITA’
Nel suo discorso a Stoccolma l’8 dicembre 1990 in
occasione della consegna del Nobel per la Letteratura Octavio Paz fece
riflessioni interessanti sulla modernità. Non è possibile non tenerne conto;
non è possibile non partire da quelle parole.
“Cosa è la modernità? Innanzi tutto è un termine
equivoco: ci sono tante modernità quante sono le società. Ognuna possiede la
sua. Il suo significato è incerto e arbitrario, come quello del periodo che la
precede, l'Età Media. Se siamo moderni rispetto al Medioevo, non saremo forse
l'Età Media rispetto ad una futura modernità? Un nome che cambia col tempo, è
un nome vero? La modernità è una parola in cerca del suo significato: è
un'idea, un miraggio o un momento della storia? Siamo figli della modernità o
essa è una nostra creazione? Nessuno la sa con certezza. Poco importa: la
seguiamo, la perseguiamo (…) La modernità è stata una passione universale.
Negli ultimi anni si è preteso esorcizzarla e si parla molto della
"post-modernità". Ma cosa è la post-modernità se non una modernità
ancora più moderna? (…)
Il Messico cercava il presente fuori e lo trovò dentro,
sotterrato ma vivo. La ricerca della modernità ci portò a scoprire la nostra
antichità, il volto nascosto della nazione. Inattesa lezione storica che non so
se tutti hanno imparato: tra tradizione e modernità c'è un ponte. Isolate, le
tradizioni si pietrificano e le modernità si volatilizzano; congiunte, una
anima l'altra e l'altra le risponde dandole peso e gravità. (…)
L'idea di modernità è un sottoprodotto della
concezione della storia come un processo successivo, lineare e irripetibile. (…)
La tradizione filosofica pagana e cristiana aveva esaltato l'Essere, pienezza
rigonfia, perfezione che non cambia mai; noi adoriamo il Cambio, motore del
progresso e modello delle nostre società. (…) Per ultimo, il progresso si
realizza grazie alla duplice azione della scienza e della tecnica, applicate al
dominio della natura e all'utilizzazione delle sue numerose risorse.
L'uomo moderno si è definito come un essere storico.
Altre società preferirono definirsi per valori e idee diverse da quella di
cambiamento. (…) Una dopo l'altra quelle idee e credenze furono abbandonate. Mi
sembra che cominci a capitare lo stesso con l'idea di Progresso e, di
conseguenza, con la nostra visione del tempo, della storia e di noi stessi.
Assistiamo al crepuscolo del futuro. Il ribasso dell'idea di modernità, e la
voga di una nozione tanto dubbia come "postmoderno", non sono
fenomeni che colpiscano unicamente le arti e la letteratura: viviamo la crisi
delle idee e delle credenze fondamentali che hanno mosso gli uomini da più di
due secoli.(…)
(O. Paz, La
bùsqueda del presente in Convergencias, Seix Barral 1991- traduzione mia)
Paz crea la cornice dentro la quale sviluppare
riflessioni e individuare orizzonti. La modernità è un equivoco svelato ancor
più dall’espressione “post-modernità”; alla fine essa è semplicemente sinonimo
di attualità. Eppure negli ultimi tre secoli è stata molto di più: una verità
assoluta, un dogma, una certezza, finanche un feticcio. Essa era un concetto,
qualcosa che si affermava da sé, un elemento autoevidente: concettualmente si
fondava sulla contrapposizione al MedioEvo. Non è un caso che il movimento che
avvia la modernità si chiamasse Illuminismo e Secolo dei Lumi: finalmente
l’uomo non viveva più nel buio (del MedioEvo) e aveva scoperto la luce. Se si
eccettuano poche personalità che guardavano al passato con nostalgia, quasi
tutti abbiamo vissuto gli ultimi 300 anni volendo essere “moderni”: pur con
diverse graduazioni dovevamo essere moderni. I grandi successi di questi tre
secoli, come le disfatte e persino i più tragici orrori, hanno avuto l’esigenza
di richiamarsi alla modernità.
Il 1700 e il 1800 sono i secoli in cui la modernità si
impone e si afferma, proseguendo per tutto il 1900 nonostante sempre più ci si
rendesse conto che occorreva cambiare prospettiva: se ne resero conto Nietzsche,
la poesia e l’arte, la scienza a partire dalla fisica quantistica. Sia chiaro
che la crisi del concetto di modernità non significa il trionfo di ideologie
reazionarie, di impossibili ritorni indietro.
L’esigenza di andare avanti (pro-gredire) si pone in
maniera diversa: è, oggi, entrata in crisi un’idea e un metodo. Quell’idea e
quel metodo avevano avuto origine nelle scoperte della scienza e nelle
applicazioni della tecnica: su di queste e intorno a queste è andata
consolidandosi una visione del mondo che ci ha accomunati sempre di più,
arrivando a coinvolgere le singole esistenze individuali. La modernità diventa
segno distintivo, non solo tra i giovani che accusano i genitori di essere
“antichi”, ma anche tra gli adulti e, piano piano, modernità e gioventù sono
diventati sinonimi.
Contrariamente a quello che si pensa la modernità ha
trovato il suo punto di passaggio e lo snodo nel Cristianesimo. Mentre gli
antichi avevano una visione ciclica della storia il Cristianesimo introduce un’idea
lineare, molto semplice, ma capace di spezzare il cerchio: infatti l’avvento di
Gesù sulla terra fa sì che il mondo prosegua in modo rettilineo, dalla
Creazione alla presenza del Cristo fino alla fine dei giorni e al Giudizio
Universale. Una volta sostituita la linea al cerchio la scienza moderna ha
fatto il resto, arrivando a sostituire il punto di arrivo con un processo
infinito. La scienza ha convissuto con il Cristianesimo per un certo periodo
per procedere poi in maniera autonoma. I primi scienziati erano ferventi
cristiani e giustificavano la scienza stessa con l’esistenza di un Dio come
quello cristiano, un Dio perfetto che non poteva aver creato un mondo
imperfetto: su questo basavano la possibilità di trovare le leggi universali
soggiacenti all’universo.
Quando si parla di modernità si pensa subito
all’Illuminismo, cioè al 1700. In realtà il 1700 non è altro che uno dei tanti
momenti della storia che sintetizzano quanto prodotto in precedenza, cosa che è
la normalità nel divenire storico, ma che, se non viene palesata, allora porta
a consistenti fratture. Il movimento giacobino fece della Ragione una divinità,
da adorare e al cui volere sottomettersi completamente, senza rendersi conto
che così facendo contraddiceva il senso profondo della parola; o forse se ne
rendeva conto e pensò che fosse il modo migliore per affermare il proprio
potere. Il Terrore giacobino non può certo essere attribuito né a Kant né a
Voltaire, i quali però non compresero (e forse non potevano neppure) quali
derive avrebbe potuto comportare un’esaltazione della ragione senza rispettarne
le radici e senza ringraziare i predecessori.
Il pensiero cristiano medievale è totalmente tomista e
non si può negare il ruolo che la ragione ha nel suo essere, di derivazione
aristotelica. In quel periodo filosofi discutono del rapporto tra Ragione e
Fede raggiungendo posizioni anche divergenti, ma sempre mostrano l’importanza
che ha la ragione nella vita dell’uomo. Il ‘400 e il ‘500 fanno proprio il
lascito razionalista dei secoli precedenti e lo indirizzano in una nuova
capacità e responsabilità dell’uomo, mentre non è solo il dibattito filosofico
che impegna la cultura di quei secoli. La medicina grazie a Falloppio e
Cisalpino fa scoperte importanti e mantiene vivo l’interesse per la vita
pratica, e le fa anche la matematica (ricordiamoci che Fibonacci visse nel XII
secolo), mentre Leonardo, pur rappresentando il Genio, non è l’unico che studia
e sperimenta. Così arriviamo al 1600, secolo bistrattato e incompreso, tacciato
per lungo tempo in modo dispregiativo come il secolo del barocco. Copernico era
vissuto a cavallo di ‘400 e ‘500, Keplero qualche decennio dopo, Tycho Brahe
muore nel 1601 e sono tutti del 1600 Galileo, Cartesio, Pascal, Leibnitz e
Newton. Per decenni gli intellettuali marxisti ci hanno parlato di un 1600 come
secolo negativo, perché esso corrisponde al Barocco e il Barocco è il trionfo
della Chiesa Controriformista. Non a caso a scuola si insegna solo questo e
Galileo è citato per la condanna della Chiesa, mentre gli altri o sono ridotti
a filosofi oppure a richiami di poco conto: le coordinate cartesiane, la forza
di gravità, gli integrali. Eppure tutto era noto. Ridurre il ‘600 alle colonne
tortili dorate di Lecce o al Trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da
Cortona è opera diseducativa, mentre la pittura di genere, i bambini di Murillo
o I macellai dei Carracci o i ritratti, i soldati, i medici di Rembrandt non
vengono né da Marte né da Venere, ma sono una faccia importante del secolo.
Si è spesso, quasi sempre, proceduto in modo lineare,
per cui l’affermazione di un movimento avviene sempre come reazione a chi lo
precede: e così l’Illuminismo individua come suoi nemici il MedioEvo e la
Chiesa, le cui tenebre finalmente vengono squarciate dalla Luce del nuovo
secolo. Non esiste, in questa logica, nessun tipo di continuità, ma solo
rotture e queste sarebbero l’origine di nuove realtà. Ma le cose funzionano
diversamente e la continuità risulta essere molto più presente della rottura:
reti che si integrano e si diramano attraverso nuovi flussi che generano nuove
reti. Solo la rete può essere l’immagine della complessità e non c’è più alcun
dubbio che la realtà sia complessa.
Il concetto di modernità come qualcosa che valorizza
il cambiamento: questa è la novità. Essa comincia a farsi strada con il Basso
MedioEvo, anche se in maniera leggera, per accrescere le ramificazioni e
l’intensità di queste grazie all’Umanesimo-Rinascimento, al Barocco, all’Illuminismo
e al Romanticismo. Si può discutere e andare più in profondità e così vedremo,
come scrisse Manzoni (Cinque maggio), che Sette e Ottocento erano “due secoli
l’un contro l’altro armati” oppure con Gadamer (Verità e metodo) che le basi
epistemologiche dei due secoli erano le stesse, ma qui mi interessa mettere in
evidenza quanto un valore come il passato-l’essere, che ha tenuto in piedi
società anche diverse per millenni, cominci a essere inadeguato e a fare crepe
sempre più ampie.
Con la seconda metà dell’Ottocento ormai le principali
correnti filosofiche (idealismo, materialismo, positivismo), pur con inevitabili
discrepanze, riconoscono valore all’idea di cambiamento, evoluzione o
rivoluzione che sia. La realtà non è mai stata la stessa e ha seguito sviluppi
che si è cercato da Parmenide in poi, attraverso Platone, di ricondurla all’Essere,
a qualcosa cioè di assoluto e immutabile. Ma la realtà non si è mai fermata
producendo sempre nuove diramazioni che andavano a intrecciarsi con diramazioni
che provenivano da reti diverse; facendo ciò essa ha creato nuovi spunti e
nuovi stimoli che hanno prodotto contrasti e assimilazioni. Le reti si sono
sempre più amalgamate, dando vita a una rete sempre più ampia che si presentava
unitaria nel suo insieme, ma fortemente diversificata nei suoi particolari.
La consuetudine, la tradizione, l’autorità assoluta
hanno perso in misura sempre maggiore il loro carattere di riferimento. Mentre
prima il padre era pater familias ora esso può essere messo in discussione, la
Chiesa non è più quell’autorità intoccabile che era sempre stata, i Re
diventano tali per volontà della nazione e non per volere di Dio. Il 1900
porterà poi agli estremi questa tendenza, mentre il nuovo millennio ne subisce
gli effetti.
E’ vero che la modernità è divenuto termine ambiguo,
non in sé ma per l’uso che ne è stato fatto e che continua ad essere in voga.
La modernità è ambigua ma allo stesso tempo è uno
status, fatto di pensieri e di comportamenti che hanno segnato un’epoca:
quest’epoca giunge fino quasi ai nostri giorni.
Vediamo in dettaglio.
Esiste una modernità politica. Essa ha avuto bisogno
di secoli e di vie anche tortuose per affermarsi: la Bill of Rights del 1689 è
un primo punto fermo, la Costituzione americana del 1787 un ulteriore passaggio
e la Costituzione francese del 1791 un altro passaggio. Chi voleva essere
moderno doveva fare riferimento a tutto ciò.
Esiste una modernità economica. Essa coincide col
capitalismo, il diritto di proprietà, la libertà di mercato: tutto ciò continua
a non piacere a molti e il fatto stesso di contestarne l’esistenza ne rafforza
la sostanza. D’altra parte non ci sono alternative, anche perché contrapporsi
al mercato globalmente è come tentare di far ruotare la Terra in senso opposto.
Un ritorno all’autoconsumo feudale è impensabile. L’esperienza comunista è
fallita miseramente. I paesi socialdemocratici del nord Europa sono basati sul
capitalismo, Keynes partiva dalla realtà capitalista che non metteva in discussione:
ogni tentativo di rinnegare le basi di un’economia di mercato è fallimentare in
partenza.
Esiste una modernità sociale. Il ‘700 per quanto
innovatore è ancora fermo a una visione elitaria e la sua visione parla di
dispotismo illuminato, ovvero di “Tout pour le peuple, rien par le peuple-Tutto
per il popolo, niente attraverso il popolo”. Diverso è invece l’800 che vede
l’irruzione dei popoli non solo sulla scena rivoluzionaria ma anche nella
considerazione pubblica. Dal riconoscimento astratto della persona si passa
alla valorizzazione delle classi sociali: Manzoni, Balzac, Flaubert, Zola,
Verga ci forniscono un quadro sempre più ampio della società. Non è solo il
marxismo che esalta il ruolo delle masse, perché ormai la società non può fare
a meno di presupporre di essere una società-massa: di questo si resero conto i
politici estremisti come comunisti, fascisti e nazisti, i politici liberali con
l’allargamento del suffragio, intellettuali come Ortega y Gasset, Canetti e la
Scuola di Francoforte, e persino capitalisti come Ford e tutti quelli che
vennero dopo.
Esiste una modernità tecnologica. Essa è per molti
l’unica modernità concepibile e a ragione, in quanto è quella che ha registrato
una velocità crescente con una progressione quasi geometrica e perché è quella che
è maggiormente visibile coinvolgendoci in prima persona. Non c’è dubbio che, al
di là della dequalificazione dei sistemi scolastici, possa apparire naturale
una certa difficoltà che le giovani generazioni incontrano nel comprendere
l’evoluzione delle società, e dunque anche l’evoluzione tecnologica avvenuta
negli ultimi duemila anni.
Esiste infine una modernità culturale. Essa riconosce
in misura crescente (a partire dagli USA e dall’Inghilterra) la necessità di
una società scolarizzata e alfabetizzata e tutto va in questa direzione: dai
romanzi pubblicati a puntate nei quotidiani, ai giornali popolari, alla radio,
al cinema, alla televisione fino ad Internet. Tutto ciò che fino all’800 era
appannaggio di un gruppo ristretto della popolazione si allarga e diventa
patrimonio di tutti: musica, teatro, opera, narrativa e anche i mezzi coinvolti
ormai sono i più ampi possibili tanto da meritare la specifica espressione di
“mass-media”.
Andiamo avanti.
Tralasciamo l’idea che la modernità coincida con
l’attualità, perché così ci impantaniamo e abbiamo difficoltà a trovare il
senso, cioè sia il significato del termine sia la direzione che esso vuole
indicarci. Non esiste da questo punto di vista una modernità in qualche modo
afferrabile, non esiste post-modernità né post-post-modernità: persi
nell’infinito o in qualche buco nero.
Vediamo dunque la modernità storicamente, per come
cioè essa è stata vissuta nel corso dei secoli. Per millenni essere moderni era
qualcosa di negativo, gli eventi erano circolari, per cui le stagioni si
ripetevano e il passato aveva lo stesso valore del presente, ieri trionfava su
domani, perché ieri esprimeva certezze, mentre domani era aleatorio. Il domani
doveva tendere allo ieri, che avrebbe poi reincontrato: per questo la
tradizione rappresentava un valore, per questo l’autorità esprimeva comunque un
valore, perché consolidata e confermata dall’esperienza.
In una visione storica (non storicistica) ciò che per
i nostri antenati ha significato modernità comincia a scricchiolare. Ce ne
rendiamo conto tutti e tutti i giorni. Abbiamo imparato che il passato, pur
ricondotto a esperienza e non a valore, non può essere cancellato e che noi lo
portiamo dentro di noi, per cui distruggerlo significa distruggere noi stessi.
Nessuna rivoluzione ci porterà alla terra dei sogni illuminata dal Sole
dell’Avvenire. Occorre cambiare, ma mantenendo la continuità: è anche questo
uno dei motivi per cui le modernità attraverso le quali ho evidenziato la
modernità rappresentano comunque la cornice dentro la quale operare.
Vediamo a che punto siamo arrivati.
A livello politico la centralizzazione dello Stato,
che è stata una svolta significativa rispetto allo Stato Feudale, ha dovuto
fare i conti con il peso crescente che hanno assunto gli individui e il
particolare.
In questa direzione esiste un ampio spazio per il
decentramento amministrativo fino alla dimensione federale.
Un altro orizzonte verso il quale si sta andando è
quello relativo alla sussidiarietà, ovvero a lasciare alle realtà particolari
il compito di gestire tutto ciò che è loro più vicino. Si tratta di due prospettive
già in essere in molti Paesi e in discussione in altri.
Al contrario strade percorse e che tendono a una
difficile coabitazione con le nostre radici sono l’esperienza della piattaforma
Rousseau del M5S che tende a svuotare di significato la democrazia parlamentare
e le quote rosa (a cui era contrario lo stesso Mill nel libro su e contro
“L’asservimento delle donne”) perché combattono merito, iniziativa e
responsabilità personali.
A livello economico esiste la più grande confusione.
La globalizzazione e l’estensione del libero mercato a livello internazionale
hanno portato a indubbi benefici per le popolazioni un tempo svantaggiate.
Insistere sul divario creato all’interno dei Paesi senza valutare l’importanza
della crescita del reddito per ogni fascia della popolazione porta in un vicolo
cieco. Si sono dimostrate fallimentari le politiche di aiuto ai paesi poveri
che hanno arricchito i clan, mentre si sta ridisegnando la rete delle relazioni
e delle influenze a livello internazionale con un ruolo crescente della Cina.
Fallimentare si è dimostrata la strada che pretende un maggior ruolo di
intervento dello Stato, perché limita la libertà degli individui, li
impoverisce attraverso una crescente tassazione e attraverso il peso della
burocrazia. Nascondere che l’economia è cambiata è il modo peggiore per andare
incontro alle sfide che questo cambiamento implica.
Il libero mercato non è in discussione e là dove si è
sviluppato ha portato enormi benefici; il ruolo dello Stato deve essere quello
di garante delle relazioni e del quadro di riferimento, non quello di
competitore; la globalizzazione non è in discussione e per ora se ne sono
avvantaggiati soprattutto quelli che un tempo erano chiamati Terzo Mondo; il
ruolo della finanza ha favorito lo sviluppo complessivo degli ultimi decenni e
la sua demonizzazione è frutto di ignoranza oppure la solita ricerca di
colpevoli a qualunque costo (v. Alesina-Giavazzi, La crisi, Il saggiatore 2008);
la sostenibilità dello sviluppo è possibile grazie alla tecnologia, non contro
la tecnologia, grazie alla libera iniziativa del mercato, non contro il mercato,
come si sta dimostrando in molti campi.
A livello sociale. Non c’è dubbio che una novità del
panorama contemporaneo è il passaggio dalla società delle élite alla società
delle masse per arrivare alla società degli individui: ritornare al dominio
delle élite o di masse indistinte significherebbe non comprendere cosa abbiamo
di fronte. Questo riguarda tutti, ma soprattutto i giovani: dietro l’esigenza
di riconoscimento da parte di ogni persona, che è sempre più visibile, c’è una
legittima aspirazione e un enorme potenziale di crescita per tutta la società.
In questo senso le opportunità offerte da Internet sono incalcolabili e devono
essere valorizzate, anche se spesso seguono strade apparentemente senza sfondo
o poco comprensibili. Il merito e la responsabilità, così osteggiati dalle
matrici ideologiche soprattutto populiste e di provenienza marxista o
cattolica, devono ritrovare il loro giusto riconoscimento come collante
propulsivo per tutta la società.
A livello tecnologico. La principale prospettiva che
dovremmo assumere in questo campo non riguarda le frontiere che quotidianamente
vengono oltrepassate, ma l’approccio con cui ci avviciniamo all’argomento.
L’errore che spesso viene commesso è quello di equiparare la realtà attuale
alle precedenti rivoluzioni industriali; infatti non ci troviamo nella Quarta
Rivoluzione Industriale ma dentro la Rivoluzione Informatica. Le
caratteristiche di questa sono ben espresse nel libro di Negroponte Being
Digital e l’aspetto centrale riguarda il carattere immateriale di questa, fatta
di bit rispetto agli atomi di quella. Da questo elemento nascono aspetti che
coinvolgono l’economia in misura nuova.
L’informazione diventa un elemento decisivo, mentre
abbiamo il predominio dell’alto valore aggiunto da questa determinato rispetto
all’alto volume di produzione del sistema industriale: il capitale umano ha
caratteristiche diverse in quanto il suo valore aumenta con il tempo, mentre in
campo industriale il valore del fattore produttivo diminuisce con l’aumentare
della produzione. Non occorre che io sviluppi ulteriormente questo aspetto:
posso consigliare oltre al libro di Negroponte il saggio di Robert Reich Sull’economia
delle nazioni.
A livello culturale. Il campo in cui si è andati molto
più avanti è quello culturale. Naturalmente non parlo degli spettacoli comuni
dei nostri giorni, ma di quelle ricerche che hanno individuato in anticipo le
nuove prospettive, cioè la scienza e l’arte.
In campo scientifico già dalla fine del 1800 si è
cominciato a guardare oltre grazie a Henri Poincaré, matematico e fisico
francese, che soprattutto attraverso la Teoria dei tre corpi e la Topologia ha
messo in discussione il determinismo scientifico caratterizzante la “scienza
moderna”. Da allora si sono succedute ricerche e studi che hanno portato a
caratterizzare come “Scienza della complessità” la ricerca scientifica
contemporanea. L’affermazione della complessità ha permesso di scavare più in
profondità, portando alla luce anfratti che in precedenza non venivano visti
per l’errore metodologico di fondo. Non solo, ma una visione complessa del
mondo ha permesso un riavvicinamento tra scienze della natura e scienze umane,
permettendo quel dialogo che nella versione deterministica risultava
impossibile. A questo proposito la critica al determinismo è stata accompagnata
(in un certo senso anticipata) da filosofie antimetafisiche (la metafisica
corrisponde alla ricerca di leggi assolute e universali in campo scientifico) e
da un’arte che da una visione estetica è passata a una dimensione
creativa.
L’errore più grave che viene commesso in questo campo
è trarre un certo tipo di conseguenze da questo presupposto: mi riferisco al
relativismo culturale oggi imperante che ha come conseguenza la giustificazione
di qualsiasi fenomeno e dunque la mancanza di assunzione di responsabilità da
parte dei soggetti coinvolti. L’impossibilità di rivelazioni metafisiche o di
leggi assolute e universali non significa che tutto è relativo: al contrario
abbiamo di fronte a noi delle scelte che ci orientano e ci conformano, scelte
che esprimono una verità temporanea, ma che riconosciamo come tale. I noti
versi di Montale anticipano quanto sarà necessario perseguire: “Codesto solo
oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Non tutti gli
orizzonti sono possibili, la scelta dell’orizzonte che limita il nostro sguardo
apre a scelte che ci impegnano.
Non si tratta di rimproverare o solo giudicare
Settecento e Ottocento, ma di ricostruire la densa trama di relazioni che hanno
caratterizzato quei secoli e individuare quali di queste proiezioni si sono
inaridite e quali invece si sono rinforzate grazie a nuova linfa vitale. Non si
tratta dunque di imparare dagli errori del passato perché questo presupporrebbe
che la storia è fatta di cose giuste e sbagliate, ma di comprendere sempre e
comunque la complessità degli avvenimenti. Finalmente possiamo lasciarci alle
spalle una visione che chiude le porte del futuro attraverso giudizi che
diventano stereotipi: né giustificazioni né condanne. Un esempio semplice per
tutti riguarda il concetto di Ragione, che è il concetto chiave
dell’Illuminismo. Per molti il fatto che “il secolo della Ragione” fosse il
1700 ha fatto perdere di vista come la Ragione fosse concetto complesso e
antico. Quel pensiero ha fatto credere che la Ragione sia solo quella affermata
dagli Illuministi, con tutto il suo portato di laicismo, anticlericalismo, di
universalismo, di rifiuto aprioristico del pregiudizio e dell’autorità, di
determinismo. Si è perduto il passato per cui, prima di essere illuminista la
Ragione fu greca, romana e cristiana. Non solo il passato, ma anche il futuro è
stato contaminato. Per cui non ci si rende conto del fatto che la ragione di
cui si è affermato il predominio era solo “ragione semplice” e che oggi essa si
è trasformata e arricchita diventando “ragione complessa”. Questa incapacità è
visibile nella scuola francese (dove ho insegnato per 6 anni): là il termine
razionale e cartesiano si equivalgono, per cui non può esistere una “ragione
complessa”: o si è cartesiani o si è irrazionalisti.
Finalmente si comincia a comprendere la complessità
della storia che ha, come prima conseguenza, il rifiuto del moralismo,
dell’anacronismo e di inutili stereotipi.
Queste lezioni non vogliono raccontare eventi e
personaggi storici, ma vogliono fornire un quadro di riferimento dentro il
quale inserire in modo nuovo gli avvenimenti che sono presupposti.
E’ necessario, soprattutto rispetto a questo
argomento, far notare alcuni aspetti che sono dati per scontato, ma che
richiedono una riflessione ulteriore. Un po' come espresso in merito al
concetto di ragione. Si tratterà di alcuni titoli che lascio al lettore
sviluppare. Qui non è possibile per ragioni di spazio.
IL SETTECENTO
1)Il pensiero illuminista è ridotto a Voltaire e
Rousseau. Il riferimento a Kant è lasciato ai Licei, mentre di Montesquieu e
Toqueville in genere poco si parla. O addirittura nulla.
2)La Rivoluzione Francese è proposta come l’atto
risolutivo che apre la strada a ciò che siamo oggi: la sua enfasi è in parte il
frutto della propaganda francese, ma anche dell’insistenza di origine marxista
sulla parola “égalité”. In realtà la prima rivoluzione moderna si ebbe in
Inghilterra ben 100 anni prima, mentre la seconda avvenne in America, qualche anno
prima della presa della Bastiglia: la Francia arrivò solo terza.
3)La Rivoluzione francese è enfatizzata nella sua
dimensione popolare, con evidente influenza marxista. Si tace il ruolo avuto da
una serie di inverni rigidi che hanno danneggiato i raccolti come pure si fa
credere che la Presa della Bastiglia sia stato il romanzesco “liberare i
prigionieri politici”: in quel carcere c’erano solo 12 persone.
4)Anche il Regicidio (Luigi XVI e Maria Antonietta) è
visto come un fatto di democrazia. Nessuna riflessione e nessun confronto con
l’uccisione del Re (Carlo I Stuart) durante la rivoluzione inglese: perché poi
gli inglesi preferirono la monarchia?
5)La Rivoluzione Industriale sempre presentata come
sinonimo di sfruttamento della popolazione che vive in condizioni drammatiche e
in città orribili e inquinate.
L’OTTOCENTO
1)L’argomento più gettonato e che propone i soliti
stereotipi riguarda il Colonialismo che diventa Imperialismo: tutto è
presentato come aggressione e sfruttamento da parte dei Paesi Europei, senza
nessun riferimento alla situazione internazionale storica e contemporanea e
senza vedere le diverse sfaccettature riguardanti molti Paesi non europei. E’
sempre il concetto di origine marxista e poi leninista che viene usato come
strumento.
2)Altro aspetto riguarda l’emigrazione, vista sempre
sotto la lente dello sfruttamento e senza un’analisi comparata tra i diversi
popoli e mai presentata anche come opportunità.
3)La Seconda Rivoluzione Industriale è presentata
attraverso un elenco di innovazioni e il solito discorso sullo sfruttamento: sotto
tono o del tutto assenti l’evoluzione della società moderna in termini anche di
diritti, civili e sindacali, il miglioramento delle condizioni della
popolazione, i progressi in ambito ecologico sia nelle città sia con
l’istituzione di Parchi Nazionali.
4)Per quanto riguarda l’Italia ne ho parlato
nell’ultimo post. Qui voglio ricordare come lo schematismo del popolo contro il
potere viene riproposto ancora una volta: il legame profondo ad esempio tra i
contadini meridionali e i nobili non viene messo in evidenza, il ruolo dei
Savoia è semplicemente raccontato, mentre il popolo italiano sono i 1000
garibaldini e le centinaia di rivoltosi di Milano e Venezia. Tutto riconduce
alla lotta di classe, come se le relazioni internazionali (le scelte dei Savoia
prima, della Francia poi e i buoni rapporti con l’Inghilterra) fossero solo
intralci ed espressioni di potere.
In conclusione la visione della storia che viene
trasmessa a scuola e nei media riconduce al bene, quando è il popolo a
muoversi, e al male, quando gli artefici sono gli Stati. Da qui tutta la deriva
che porta a valorizzare il cuoco di Cesare rispetto al conquistatore delle
Gallie.
La verità è che il popolo entra in scena solo negli
ultimi 100-150 anni: pretendere di ricercarne un ruolo decisivo nella storia
precedente è anacronismo, così come insistere solo sul potere visto come
qualcosa di negativo riconduce al moralismo.
Ogni evento, ogni personaggio parlano di una realtà
complessa; questa ci aiuta a comprendere molto di più le dinamiche dell’essere
umano e ogni semplificazione risulta inutile: Seneca era una brava persona, ma
era favorevole alla pena di morte; Churchill dette un contributo fondamentale
alla vittoria sul nazismo, ma vedeva i popoli delle colonie come inferiori; gli
Ateniesi fondarono la democrazia ed erano imperialisti.
Sono solo tre esempi.
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